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martedì 12 febbraio 2013

new website



Dear All
I am  glad to announce my new website http://www.robertozampinophoto.com it' s still a raw version of what it's going to be but it is worth a visit! and soon i will keep only this one!

Please feedback are really appreciated

have fun and keep snapping!

keep in touch for courses, lessons, shooting, news, reportages, travels!

Nel sito troverai corsi , lezioni, reportage, viaggi... tutto in costruzione ma vale la pena dargli un occhiata!



mercoledì 27 aprile 2011

Portfolio - Le mie fotografie


La fotografia non è un mestiere. E' uno stile di vita




martedì 1 marzo 2011

Vacche Grasse e Morti di fame



Carnivori convinti, scettici, trangugiatori di semenza e fagioli, ovo – latto - non latto – quasi – vegetariani, mangiamola sta bistecca al sangue! Tutta questa pietà nei confronti degli animali quando il mondo muore di fame. Questo perbenismo “passionale”, l’uomo nasce onnivoro e deve morire onnivoro. Oppure no?

Cose dette e ridette? credo che di coloro che inizieranno a leggere quest’articolo , ¼ arriverà alla fine, la metà si fermerà poco dopo l’inizio inveendo contro chi lo ha scritto e il restante si arrenderà immediatamente. Nessuna critica verrà avanzata, ne alcuna intenzione di trascinare le abitudini carnivore sull’orlo del baratro, solo dati e qualche considerazione.

Lasciamo stare il buonismo, “povera vacca e povero maiale” al diavolo anche pennuti, quadrupedi e striscianti, che vengano mangiati tutti. Pensiamo all’essere umano, pensiamo alla nostra razza e a noi stessi. Quanta gente muore di fame? Quante persone uccise dalla bestia crudele che si nasconde nel ventre vacante?
Bambini scheletrici che si fionderebbero a fauci slogate sulla coscia succulente di una vacca grassa, se solo avessero la forza e la vacca. Carne, vacche , fame nel mondo? Roberto (per chi mi conosce) che stai dicendo? Sei impazzito?

Eppure il legame tra questi fattori è così stretto, cosi turgido da paralizzare le mascelle in fase di sbigottimento.

Incominciamo:

Tonnellate di soia vengono prodotte nel mondo, tante da poter far ingrassare questa e le prossime generazioni. Purtroppo il 90% di tutta la produzione non è destinata all’alimentazione umana bensì A QUELLA ANIMALE. Agli allevamenti

77% dei cereali prodotti in Europa (grano, frumento, ecc) riempirà gli stomaci alcalini di quadrupedi e bipedi destinati all’allevamento.
“ma finiamola! Sarà anche vero, ma in ritorno abbiamo latte, uova e carne!” nulla di più ipocritamente pubblicizzato e disastrosamente FALSO.


Un ogni kg di carne prodotta devono essere impiegati almeno 15kg di cereali. Una fiorentina al sangue potrebbe sfamare per un giorno intero, considerando 100 grammi di riso a porzione, ben 150 , (centocinquanta!) bambini. (arriveremo anche alla frase “se non mangio carne non cambia nulla!”)






La mera pietà nei confronti degli animali d’allevamento adesso è ben avvalorata da un argomentazione che và al di fuori dell’animalismo. Si tratta di “Umanismo”. Negare i fatti è prendersi per i fondelli.
Un calcolo velocissimo:
145 milioni di tonnellate di soia e cereali (quindi anche la base di pane e pasta) alimentano bestiame per 21 milioni di tonnellate di carne, latte, latticini e uova. 145-21=124 milioni di tonnellate di cibo sprecato, defecato, espulso dall’orifizio di migliaia di animali da macello.

VACCHE SEMPRE Più GRASSE E BAMBINI SEMPRE Più MAGRI.

Questo è lo scoglio per i temerari, continuare a leggere o darsi per sconfitti? la soluzione è alla fine…

Un'altra implicazione che sta alla base dell’allevamento massivo è lo spreco spropositato di preziosa acqua in un periodo in cui non si sente parlare d’altro che siccità, desertificazione, e morti di sete. Una famiglia “tipo” utilizza circa 500.000 litri di acqua l’anno. 5 kg di carne, 5 belle fiorentine al sangue, pensate un po’ equivalgono al consumo idrico annuale di un intera famiglia. Tra abbeveratoi, pulizie giornaliere e lavaggi vari , per ogni kg di carne vengono utilizzate circa 100.000 litri di acqua. patate e riso rispettivamente impiegano 500 e 2000 litri di acqua per kg di prodotto. [fonti ISTAT e http://www.newsweek.com/]

È palese come la semplificazione dell’argomento, ridotto in termini pietistici e animalistici, equivale a coprirsi gli occhi con due cosciotti di pollo e gettarsi in acque gelate che tolgono il fiato e trafiggono il corpo. I profluvi argomentativi finora enumerati non fanno altro che alimentare il corrosivo e lento flusso di devastazione del nostro pianeta e degli essere umani stessi. abbiamo capito che fin dall’inizio di questo articolo il nucleo investigativo non è principalmente l’animale ma l’uomo.

Tralascio ciò che riguarda l’energia e l’inquinamento prodotto dagli allevamenti. Statistiche e numeri se interessati potete esaminarli da soli. D'altronde chi non è al corrente che il 65% dell’ossido d’azoto è prodotto dai bovini allevati e che quest’elemento è 300 volte più dannoso della semplice e demonizzata CO2.
L’evidenza innegabile è che siamo messi male. Da un lato rinunciare al piacere estasiante della carne, dall’altro fare i conti con la propria coscienza(per che ne possiede ancora una).
L’uomo si è sempre cibato di alimenti di origine animale, ma mai a queste condizioni, e in queste quantità. La teoria sostenuta da molti della naturalezza dell’atto carnivoro è triturata dalla moderna innaturalezza del metodo produttivo.

Possiamo permetterci di alimentarci in questa maniera solo perchè siamo disposti ad uccidere, ad accettare chi muore di fame e che per quei kg di riso, che equivalgono alla nostra bistecca , darebbe anni di vita e di lavoro .



Il mondo è alla rovescia e la classica , stupida ed egoistica frase “che ci posso fare” contribuisce a tutto ciò. Ogni volta che la si menziona, si cementa un mattone nel muro della disuguaglianza sociale, sappilo. Eppure, io che ci posso fare? (mattone!). continuo a mangiare a strafogo carne e castrato, tutti i giorni, 3 volte al giorno , davanti al telegiornale che mostra un servizio con costole e ombelichi di fuori per la malnutrizione? Continuare a dire “c’è gente che muore di fame e di sete!” seduti al Mc Donald con un rivoletto di grasso d’hamburger che scappa via dalle labbra sputacchiando la tovaglia?



Qualcosa è in nostro potere. Chi abbia un pizzico di buon senso non può lasciarsi travolgere indenne dal questa vagonata di informazioni e numeri. La terra, l’umanità chiede solo che queste nozioni vengano promulgate il più possibile. Conoscere ed agire sono alla base di un cambiamento. Una parola con gli amici, con il padre o il figlio, far comprendere cosa la malattia del “troppo” ha innescato nell’essere umano. oppure te ne vergogni?

Basterebbe pochissimo. Tornare alla naturalezza dell’atto dell’alimentazione. Non si chiede forzatamente di eliminare la carne (anche se in effetti…) ma solo di diminuirne il consumo, essere più frugali, mangiare mediterraneo, conoscere ed essere critici negli acquisti. Latte e uova danneggiano solamente se assimilate in quantità poco più che ridotte. Non sono un medico e cimentarmi in argomenti che non concernano i miei studi sarebbe avventato, ma ovunque si possono leggere testi e saggi di medici che bandiscono l’uso dei derivati animali e della carne. Non è più un segreto che il calcio del latte non è assimilabile e che le proteine della carne sostengono il tumore. Un’ottima dieta non significa assolutamente essere carnivori, anzi. Volere bene e dar da mangiare dosi eccessive di carne e derivati, è un bene alla stregua dell’odiare . Difendersi con il “mi piace” o “non riesco a farne a meno” è come coloro che dicono non riesco a fare ameno del sesso e quindi stuproano.
Se la popolazione cinese si cibasse alla maniera “ricca” occidentale, le riserve di carne finirebbero immediatamente e noi patiremmo i medesimi morsi della fame di chi adesso ne soffre a causa nostra. Fortunatamente loro hanno compreso, malgrado tutto, che il riso si mangia e non si da mangiare.

A tutto questo aggiungo la nota meramente compassionevole nei confronti degli animali. Crudelmente seviziati e costretti a espletare le loro poche funzioni vitali l’uno sull’altro, schiacciati, gonfiati come palloncini, ridotti a merda movente.

In Definitiva Vacche grasse, paffute e destinate alla stessa fine di milioni di grinzosi e mingherlini morenti di fame: Sofferenza e morte.






Ringraziamento particolare alle fotografie di Tommaso Ausili http://www.tommasoausili.com/



http://www.robertozampino.blogspot.com
http://www.momentirubati.blogspot..com
http://www.flickr.com/photos/robertozampinofoto


http://laverabestia.org/index.php video assurdi...

martedì 11 gennaio 2011

Bella è la mia donna...

Bella è la mia donna,
aspra ed elegante.
Bella è la mia Sicilia.
Coperta di veli fluttuanti.
Ammiccante,
come solo i riflessi purpurei del sole al mattino sui coralli a pel d’acqua.
Vento di terra calda,
rovente, scura.
Mossa da grinze arse dal sole di volti chini,
che nella loro terra o in mare trovano conforto.
Ventata di pomodoro ciliegino e viti potate trasportata dallo scirocco.
La salsedine leviga e la spuma fresca disseta la pelle e inasprisce il palato.
Continuo ad amarti e soffro al tuo languire.








incipit dei luoghi della mia terra...viaggio iniziato alla mia nascita e che meticoloso prosegue tra albe stupefacenti, sorrisi colmi di gaiezza e a volte spiacevoli scoperte....

http://www.flickr.com/photos/robertozampinofoto

martedì 18 maggio 2010

Istanbul è una Parigi che prega in ginocchio e si leva le scarpe






Istanbul mi ha spiazzato. Non sapevo a cosa andavo in contro. Avevo letto di moschee, bazar, spezie, tè. Avevo sentito parlare della città come centro dell’islam (da cui deriva il nome), come folklore turco tra minareti e richiami alla preghiera. Per cui l’idea formatasi aveva un non so che di orientale , che si riconduceva un po’ a cosa avevo visto in Cairo. Idea completamente fuorviante.
Istanbul è una Parigi che prega in ginocchio e si leva le scarpe. Tanto graziosa, pulita, ordinata quanto a volte meramente superficiale, contrastante e furtiva. Lo stile arabeggiante si districa nobilmente flessuoso con ornamenti i fluttuanti tra i colori delle ceramiche che tappezzano palazzi e mosche. Il passio flemme e ombreggiato dai minareti che sfrecciano versoi l’alto è una caratteristica di chi vuole esalare Istanbul. Camminare è l’unico modo di scoprire una città. A orari prestabiliti gli altoparlanti presenti su ogni minareto iniziano il richiamo alla preghiera. Un lungo, cadenzato e cantilenino lamento, che barcamena sinfonico tra una moschea ed un'altra. Come se fosse un direttore orchestrale , il canto ha inizio dalla grande moschea blu e si propaga come se l’onda sonora avesse anima propria, attraverso le strade e le tramvie. Il Bosforo stesso in tutta la sua ampiezza sembra risonare come una cassa acustica il tonante canto degli imam.
la prima percezione è acuta e alienante, qualche minuto dopo la si incomincia a dimenticare.
Istanbul è una città immaginaria, o meglio immaginata. Eretta in tutta la sua magnificenza dai sogni degli stranieri. Uno specchio che da un lato riflette gli slanci e i taxi gialli e dall’altro nasconde la quiete dei piedi nudi dei venditori di spezie e ghiaccio all’ombra di tendami e tappeti.
Il sole si spegne dietro cupole e picchi luccicanti. Al rumore del Bosforo alla sera, le lunghe ombre delle canne da pesca fanno fronte e s’issano. Il pascolio di pescatori e pescato aspetta l’accendersi delle stelle per ammainare l’ultimo amo e il ponte Galata libera la sua groppa appesantita dal continuo via vai. Il vocio frammentato , l’aria squarciata dalle lenze che la fendono con uno schiocco , sono adesso solo quiete e brusio del mare. Solo riflessi scomposti delle luci del culto nei flutti del tempo.
Vivere Istanbul significa, odorare Istanbul ed assaggiarla. Il cumino impregna ogni pietanza lasciando il palato gustar meglio la semplice acqua. Gli odori sono associati ai quartieri. Ognuno tipico è pungente speziato o acre. Il frittume che costeggia il porto e il lungo mare impregna le t-shirt sudate dei venditori e di coloro che vi si avvicinano. I pesciolini poco sostanziosi , che non hanno speranza di attraversare il ponte senza cascare nell’inganno del verme, sono impanati e cotti nell’olio bollente all’istante.
Deambulando a naso aperto odor di tè, vaniglia, e caffè si appiccicano alle narici espandendo l’orizzonte sensoriale. Il tipico caffè turco , macinato fresco è tra le delizie olfattive che più catturano. Pur di portarlo con me ne ho acquistato un chilo sfuso in busta di cartone. È fresco e leggermente pungente. Rimane nell’aria e né si sente il sapore aromatico sotto la lingua che comincia a secernere saliva per il desiderio. Lo stesso dicesi per la fruttosità del tè alla mela.
Alla sera, i mercati e bazar contengono i loro profumi protetti da serrande e saracinesche . adesso i kebab , prima coperti da ondate di spezie sfuse e sudore , divampano in profumi possenti e pesanti, ricchi di seducente grasso che cola dagli strati di pollo e tacchino uniti dal tipico forcone.
Quante foto di queste sensazioni possono aver scattato tutti coloro per i quali Istanbul si cela solo dietro le costose e sopravvalutate estetiche bellezze turistiche? La lunghezza del periodo della frase è voluta. Una città come questa non la si può vivere senza virgole e punti accapo. Tutta di un fiato, seguendo le scie luminose che lasciano le spalle dei turisti rosse fluorescenti per esposizione solare. Ha bisogno di calma e discernimento. Non intendo tempo fisico , considerando il mio limitato soggiorno. Mi riferisco a un tempo mentale che si deve acquisire entrando nella lentezza dei vicoli e dei carretti di agrumi trainati da rugosi e irsuti turchi.
Ma magari l’errore o mio, o semplicemente non esiste errore. C’è chi si accontenta di collezionare foto ricordo vivendo il viaggio attraverso il mirino della macchina fotografica. C’è chi va solo per poter inserire un'altra città tra i luoghi dei suoi racconti o chi ama il pensiero del viaggio e basta questo per asserire di” essere stato”.
Camminando senza meta, solo alla ricerca dell’essenza , tiepidi cuscini su gradoni coperti di tappeti ricamati in rosso accolsero il nostro ozio passeggero.
Il tepore dell’ultimo sole lentamente , a suon di preghiere e richiami, si attenuava, così come il suo timido rossore. Le cupole, gli slanci , i ponti perdevano dettagli disegnando siluette stagliate all’orizzonte. Le ombre di un’antica e prostrata cultura.
Il venditore di tè danza tra i resti appisolati di chi cerca la quiete. Il ritmo è scandito dal vociferare piatto degli acquirenti. I bicchieri di tè fumante, rosso e odoroso filtrano la luce al tramonto creando ombre magenta nel vassoio d’argento. Il vapore lascia tracce nell’aria densa che con un soffio di brezza sono solo ricordi.
I giocatori di dama e i navigatori nel web sono entrambi seduti in questo lungomare. Ognuno con i suoi arnesi, pedine dalla lunga ombra del sole all’orizzonte e monitor poggiati sulle cosce. Entrambi il loro tè in mano. Io ed Emilie distesi senza scarpe, come vuole l’educazione, attendiamo che ancora una volta, la più affascinante cadenza ritmica naturale si compia. La bevanda rossa e calda scorre attraverso la gola e dalla riva del Bosforo, in totale quiete e pacatezza, anche oggi finisce un altro giorno.


Piccola parentesi sulle fotografie:

“questo meraviglioso viaggio è stato un’affascinante ventata orientale, che tra minareti, cupole e ponti ha catturato il mio pensiero e lo ha catapultato in un'altra dimensione". Ma tuttavia un completo fallimento fotografico, e di questo me ne rammarico. Non si può pretendere di narrare una storia tramite una fotografia se dentro di se non è già presente l’intero racconto. La differenza tra chi racconta, mostra ed emoziona da chi semplicemente fa fotografia sta in quanto si è stati coinvolti e in quanto si vuole coinvolgere. Io non avevo una storia, o meglio, la corazza turistica e superficiale era tanto spessa quanto ardua da penetrare in soli quattro giorni. Per non parlare della mia voglia di scattare che si affievoliva progressivamente alla vista di migliaia di turisti accalcati e rifugiati dietro le loro macchine fotografiche, che spingevano, scattavano, senza mai fermarsi a riflettere o semplicemente osservare. Sembravano banconote claudicanti che scattavano fotografie, non menti che si lasciavano trasportare dal fascino e lo splendore che solo una città ricca di mistero come Istanbul è capace di elargire”

sabato 17 aprile 2010

WELCOME TO EGYPT!!!






WELCOME TO EGYPTE!

Scrivere del Cairo, dell’Egitto e della sua gente potrebbe richiedere titanici volumi, per cui preferisco essere il più sintetico ed esaustivo possibile.
Il Cairo è una città aperta alle interpretazioni. Non è Firenze: bella , colorata e costosa.
Ci si può limitare ad essere semplici i turisti, venendo impressionati dalla magnificenza delle piramidi e dal folclore dei mercati,osservando il rito del tè per strada, e sibilando frasi encomiastiche alla vista di un bel souvenir. Oppure si può vivere il Cairo, Venendo investiti dalla storia , travolti da migliaia di operai che stanno posando le ultime lastre di copertura delle piramidi. si può entrare nella vita dei mercati e della popolazione , bevendo il più buon tè mai sorseggiato prima, nel più sudicio bicchiere che abbia mai sfiorato le mie labbra.
L’ospitalità degli egiziani è incredibile. Ogni forestiero , se incrociato da un egiziano, riceve un cordiale Welcome to egypt! Alla fine di ogni giornata quasi non se ne può più di tutta questa cordialità. Tornati a Cipro, dopo cinque giorni di benvenuti e discussioni con ogni sorta di persona, la semplicità egiziana, la cortesia e l’allegra mi hanno lasciato un gran vuoto. Davanti casa mia, qui a Cipro, una villa con due porche, silenziosa e superficiale, mi da il benvenuto ogni mattina con il silenzio dei loro proprietari.
La città sembra vivere di notte. Probabilmente a causa del caldo, ma durante il giorno i mercati , le strade e le piazze sono popolati solo da pallide persone in pantaloncini, palesemente turisti, che si stanno compiacendo dell’affare appena conseguito. Durante la notte, dalle 5 del pomeriggio, alle cinque della mattina, Il pugno di turisti si tramuta in uno stormo euforico e colorato. Le strade si surriscaldano dal passio delle persone. I bar estraggono le loro migliori shisha (il narghilè, un oggetto utilizzato per fumare) e i tavoli sono un ricettacolo di donne con il velo, uomini e ragazzi, tutti con i loro tè e le loro risate. Camminare la notte è un’esperienza mai provata prima. Le spezie nell’aria si fanno pesanti con i vapori dei kebab. La menta, la liquirizia e la mela verde rinfrescano il tabacco delle shishe che infervorano l’aria di questi strabilianti profumi.
Si incontrano persone di ogni genere, come nazione araba vuole, le donne portano il velo, ma solo alcune integrale. Le donne sembrano piuttosto integrate, anche se le restrizioni religiose da tutti conosciute impongono alcuni limiti per noi occidentali inconcepibili.
È divertente vedere come i ragazzi fanno i galletti con le loro auto ammaccate e vecchie, sorseggiando non birra ma tè! In meno di un’ora, se si è sociali, ci si ritrova avvolti da giovani che vogliono scattare foto o semplicemente offrire qualcosa. L’ultima sera, seduti su dei divani costituiti da scocche malandate di macchine, abbiamo speso del piacevole tempo tra cammelli e banane (e non è un eufemismo) bevendo caffè egiziano e scherzando in arabo!
Girando per il mercato, il “where are you from?” è una sintassi consueta e ripetuta in ogni lingua. È il loro approccio per invogliarti a d acquistare qualcosa.
Ogni cosa acquistata in giro per i mercati deve essere contrattata. Il prezzo base è sempre 2, 3 o 5 volte il prezzo che puoi ottenere con una buona parlantina e la simpatia cordiale di qualche sorriso. La pratica del patteggio non è solo necessaria al fine di realizzare ottimi affari, ma è un divertente gioco di pazienza e abilità che ogni egiziano si aspetta di vincere. Tornato a casa viene voglia di ribattere sul prezzo dei servizi o delle cose, ma immaginare di scendere dal taxi e dire “ok ti do 5 euro, anziché 10” mi sembra un po’ fuori luogo.
Tutti sono cordiali. Per mera cordialità o perché sperano in un possibile acquisto, comunque i sorrisi non mancano. a volte questa eloquenza può apparire veramente oppressiva, ma le rughe nei volti bruciati dal sole di questa gente, mi sono rimaste nel cuore. Gente che possibilmente abita sopra la tomba dei loro avi(usuale nella città dei morti, un quartiere del Cairo) , in una casa senza tetto con il pavimento di sabbia, ma che sprizza gratitudine anche solo per dieci minuti spesi a chiacchierare con loro.
Il Cairo insegna che la mancia è obbligatoria. All’ingresso di ogni bagno, all’uscita di ogni moschea, dopo un tè, in albergo cosi come per fare una fotografia ad una donna che spella le melanzane, si deve dire addio a qualche pound egiziano. Si arriva al punto che quando si trova qualcuno che da indicazione gratuitamente ci si stupisce!
A questo però fa fronte l’economica vita egiziana. Con cinquanta pound , che sarebbero solo 8 euro europei, potresti vivere una settimana. In Cairo (parlo di quello vero, non il turistico!) per quella cifra puoi acquistare 25 gelati (in Italia 3, 2 se si è a Firenze!), 25 piatti di riso (contro i 2 in Italia), 15 kefie ( 1 in Italia), 500 pagnotte (4 in Italia), 50 caffè, tè , o succhi di frutta (3 succhi, 8 caffè , 8 te in Italia)15 kebab (2 in Italia).
Incredibile pensare alle differenze abissali tra i prezzi nella stessa Cairo per quanto riguarda tutto ciò che potrebbe interessare i turisti e ciò che si discosta dalla uso comune di ogni visitatore. Comunque sia, una cena di lusso in un ristorante a 5 stelle non supera i sessanta pound !
Se non si è suscettibili alla sporcizia, o meglio, se si è coraggiosi, testare le abitudini culinarie del luogo è un’esperienza sensoriale inimitabile. La spremuta di canna da zucchero serviti in bicchieri puliti con un drappo della maglietta del barman è una delizia. Dicesi lo stesso per il karkadè freddo, ristoratore ed ineguagliabile!
Lo stile di guida degli egiziani è incredibile. pensavo di aver visto tutto passando dall’indisciplina siciliana alla prepotenza cipriota, ma mi sbagliavo. Qui non si va veloci ma si va sempre!nel senso che il freno è utilizzato solo in casi di emergenza. Il traffico è un fluire inimmaginabile dove i clacson suonano in continuazione, ma senza rabbia o prepotenza, solo una tattica organizzativa.
ES in caso di un normale rallentamento:
1- Clacson e si passa a destra o a sinistra
2- Il sorpassato risponde con il clacson
3- Ma dietro il sorpassante di sicuro ci sarà qualcuno a cui si ha tagliato la strada che avrà a sua volta deviato l’incidente e suona,
4- di conseguenza il primo sorpassante suona nuovamente e cosi via per tutte le auto di una delle città più grandi del mondo.
Il primo giorno ho pensato che stessimo per incidentarci almeno venti volte. La distanza tra una macchina ed un'altra è di una spanna, e credo che il miglio taxista napoletano finirebbe per diventare la pallina di un flipper tra le strade della capitale egiziana..
Il Cairo è una città senza cielo, coperto da una cortina di gas e sabbia. Nella quale sono rinchiusi abissali discordanze e anacronistici stili di vita. Amo questo luogo, l’essenza povera e umile aperta al sorriso e ad un tè non può che catturare ed ammaliare.

North cyprus!




La città di lefkosia (Nicosia) è un moderno assemblato culturale nonchè il centro economico dell’isola di Cipro. La tendenza emulatrice ha occidentalizzato l’aspetto estetico della nuova parte della Capitale, arricchendo il panorama orientale di Mc Donald, Armani shop , e franchising vari.
Il centro città è rinchiuso tra mura fortificate del periodo dell’invasione veneziana avvenuto intorno al 1570, che conferiscono alla pianta della citta un aspetto circolare interrotto dalla presenza cadenzata di bastioni .
Dopo l’invasione improvvisa Turchia e gli scontri armati, le truppe turche si rifugiarono nell’intrigato labirinto di strade e stradine che caratterizzano l’attuale nord Lefkosia. La città, come tutta Cipro, è spartita, come fosse un pizza, tra Turchi (al nord) e greci.
Per tutta la frontiere sono dislocate truppe armate con il compito di dissuadere l’avvicinamento e l’attraversamento della frontiera. varcare il confine è possibile solo nei punti appositi di check point, nei quali è semplicemente necessario esporre il proprio passaporto. La vita dei militari di frontiera è oziosa e priva di grande sforzo fisico, ma se solo ci si avvicina alla green line, un pancione armato di mitra, forse più giovane di me, fa fronte da uno dei balconi che danno sulla frontiera. Le partite di pallone in strada, di fronte la propria casermetta (una ogni 300 metri di Green line”) sono usuali da queste parti. E’ ironico immaginare un mezzo armadio che corre imbastito di fucile, coltello da rambo e con gli stivali da post seconda guerra mondiale che tenta di direzionare il pallone verso le due macchine sfasciate che delimitano la porta avversaria.
Discostandosi dalla parte strettamente turistica di Nicosia, la famosa Lidra street, ci si imbatte in viuzze e atmosfere che poco o nulla hanno a che fare con l’occidentalizzazione del resto della città. Le insegne luminose dei numerosi negozi o ristoranti accalappia turisti benestanti , sembrano appartenere ad un mondo sconosciuto.
I piccoli chioschi capaci di vendere dalla frutta a cellulari, sono incastrati in piccole catapecchie non raramente con volte di tetto mancanti.
Dopo un frastagliato vagare per le stradine a volte lerce e umide, una graziosa moschea richiama l’attenzione. L’interno ha una dominanza rossiccia e affascinante, e il silenzio è interrotto solo dai miei timidi scatti (immancabili!)
Ed ovviamente parcheggiata lungo le mura che proteggono la moschea una lussureggiante Lamborghini Diablo da diverse centinaia di migliaia di euro , che stona come fosse la Guernica di Picasso rosa shoching a stelle e strisce.
Attraversando il confine immediatamente si percepisce un declino economico. I primi 100 metri dopo la porta principale hanno qualcosa in comune con lidra street: Negozi, kebab, tavolini, uno strano individuo che si accinge a sbucciare carciofi con le stesse mani che potrebbe avere un gommista dopo aver cambiato la gomma di un fuoristrada , e diversi bazar del tipo “minchiate per turisti!”
Spostandosi dai famosi 100 metri la povertà e la semplicità sono ammutolenti. Stradine anguste, chiesette e la lussuosità delle macchine si arresta ad una misera Golf. Le case, per meta spesso senza copertura, sono quanto di più scarno e ridotte al minimo necessario. Spesso la cucina è riparata da spessi teli blu, scarpe e appendi panni addobbano le strade , marcando un ulteriore differenza dalla parte greca.
Da ogni abitazione risate di bambini mischiate a al trambusto di lamenti in turco proveniente dai televisori , fuoriescono come volessero arricchire di qualcosa le strade vuote.
L’aspetto si stabilizza allontanandosi dal centro. La periferia, costruita dopo l’invasione, sembra rientrare in uno standard, povero ma pur sempre europeo. L’unica differenza: un negozio di roba militare ogni angolo.
L’ingaggio alle armi è una alternativa decisamente richiesta in questa parte dell’isola, nonché ben volentieri accetta dal governo, il quale è ben lieto di incrementare il potere difensivo della frontiera. Ma poi, mi chiedo io, difendere da che? Da un invasione greca che scatenerebbe un pandemonio tra i paesi dell’unione europea? Dal lancio delle uova di qualche estremista? Immagino i titoli di apertura “ arrestato grazie alla prontezza della squadra d’assalto turca, un possibile e gravoso attentato di origine biologia. L’attentatore portava con se una carica non indifferente di uova e pomodori, che , dissimulando il tutto con buste per la spesa, si accingeva ,fingendo un approccio amichevole, a chiedere un accendino ai soldati di guardia …”
Esplorando la parte turca, ci si imbatte in coste smeraldine e affascinanti. Le cittadine di mare sono gioielli eretti sul mediterraneo. Ma la cosa che sbalordisce è la convergenza apparentemente incongruente di una moltitudine smisurata di culture.
A kyrenia, Girne per i turchi, si trova un porto di origine bizantino, ristrutturato dai veneziani che vi hanno conferito un aspetto magico ed accogliente. Una semibaita con acqua cristallina contornata da piccoli ristoranti e tavolini. Le barche ormeggiate sono antichi velieri o grandi navi che mai stonano con l’aspetto etnico, ordinato e antico del porto. Il castello che sovrasta l’ingresso al porto è un miscuglio di architettura bizantina, veneziana, araba, e turca. Le mura mutano l’angolazione e la struttura ad ogni facciata, cosi da apparire irregolarmente armonioso.

CYPRUS 2 "La gioia non è nelle cose, è in noi. (Richard Wagner)"








La gioia non è nelle cose, è in noi. (Richard Wagner)
L’espatrio semestrale (che in realtà sarà solo per cinque mesi) a Cipro ha visto concludersi nel miglior dei modi il primo mese. Oggi(che in realtà è una settima e passa fa!), di fatti, è esattamente un mese da quando ho appoggiato la mia valigia blu nel suolo isolano. Non riesco a capacitarmi della velocità con cui questa esperienza mi sta scivolando via come sabbia tra le dita. Non ho il tempo di aprire il primo capitolo del libro, che il primo “mid term” è già finito. Non ho il tempo di pensare “quasi quasi mi faccio un giro per l’isola “ che già abbiamo restituito la macchina!
Questo mese è stato un concentrato esplosivo di novità, inglese, e gioia. Mi aspettavo qualcosa di simile, ma spesso la realtà è più meravigliosa dei sogni stessi (e altrettanto spesso no, ma per adesso non importa!)
L’inclemenza del meteo, che dispensa sole cocente un giorno, e burrasche equatoriali l’altro, non affievoliscono minimamente le scorribande cipriote, che tra un cappotto e un impermeabile,una t-shirt e pantaloncini avanzano imperterrite verso i fine settimana.
Al primo sprazzo di sereno notturno una grigliata degna di questo nome è emersa dal nulla nel nostro giardino. Grazie alle nuove tecnologie in meno di un’ora trenta persone, tredici paesi nazionalità, una lingua e tanto alcool hanno raggiunto il “barbecue in the jungle”, nome azzeccato in quanto la selva incolta che domina l’esterno della nostra abitazione è un’imitazione in piccolo di “Indiana Jones è il tempio perduto”. il party è andato per il meglio, i ragazzi si sono divertiti e mi sono reso conto che in solo un mese ho discorso con tante persone di diversa nazionalità, come mai in tutta la mia vita. L’inglese migliora, grammatica da sopravvivenza ovviamente, ma il numero di volte che fingo di aver compreso diminuisce progressivamente, stupendomi di seguire un intera storia senza perdermi un aggettivo. Come l’intrinseca natura del giovane vuole, gli ettolitri di bevande alcoliche non sono stimabili, e sbalordisco nel vedere come gli scandinavi e i russi riescano ad ingurgitare bicchieri e bicchieri di sostanze variformi, di vari colori o trasparenti senza andare mai fuori di testa. Discutendo mi hanno spiegato che per combattere il freddo polare dell’estremo nord dell’Europa la loro cultura impone l’utilizzo di queste bevande, e i genitori usualmente le versavano anche nel latte! Sarà, e posso anche crederci considerando che un bue si acquieterebbe con solo metà del loro fabbisogno orario!
Nonostante il divertimento nessuno esagera e i comportamenti sono sempre all’insegna del rispetto e dell’allegria. Immagino una festa di simile portata a Siracusa, dove l’invasione barbarica arrecherebbe danni perfino ai muri portanti.

La decisione irremovibile presa anni fa, di non usufruire di alcolici e quant’altro possa alterare il mio stato , già fin troppo alterato, è una completa novità qui a Cipro. “Don’t you drink? why are you in Erasmus!” non bevi? E perche fai l’erasmus!? È una giocosa sentenza emanate già al primo party. Alla domanda perché ,uso rispondere evitando lunghe digressioni filosofiche, che ho una brutta malattia: l’astemia!

L’arretratezza economica del paese non influisce sull’efficienza e sull’organizzazione dell’università. La struttura è situata nella parte commerciale di Nicosia. Una costruzione moderna rifinita attentamente, nella quale sono presenti cinema, librerie, ristoranti,palestra, docce, aule PC e vari laboratori come ad esempio un set cinematografico dove è prodotta una fiction cipriota!. L’organizzazione è un complesso intreccio di uffici adibiti e personale efficiente, che riesce a risolvere i problemi di noi poveri ERASMUS in pochissimo tempo. Diciamo che l’utilizzo del PC non è limitano alla sola funzione di Calcolatrice!
Un’esperienza davvero interessante è stata l’esplorazione della parte greca dell’isola con l’ausilio di “Picantigna!!” , una kia picanto affittata e sfruttata al massimo (ed oltre) delle possibilità che potrebbe avere una utilitaria di piccola cilindrata.

La partenza è stata scandita da procedure burocratiche che hanno quasi impedito l’affitto della macchina. Una piccola mille di cilindrata, la più economica, ci ha accompagnato coraggiosa per le strade insidiose e spesso off road dell’isola di Cipro. Zaini, coperte , mappe stradali, tutto il necessario per star fuori 3 giorni all’insegna della scoperta. Il primo impatto con gli automobilisti e le regole ciprioti è stato ambiguo: un mix esplosivo di adrenalinica pirateria e guida nel lato sinistro. Guidare avendo il cambio nel lato opposto , e prendendo le rotonde al contrario non è semplice, Anzi richiede un notevole sforzo iniziale, ma dopo i primi chilometri la macchina scorreva fluente tra i tornanti dei colli ciprioti. La musica trasmessa dalle stazioni radio è un esilarante guazzabuglio di ritmi occidentali e liriche greco turche, con predominanza di disco e rap. Immaginate Eminem che bestemmia in turco! Partiti alle 3 del pomeriggio, giungiamo alla prima sosta del nostro viaggio. La moschea di Larnaka, che imperiale si affacciata sul lago salato della città. Questo grande lago deserto ospita una popolazione non indifferente di fenicotteri rosa che svernano nell’isola di Cipro. Le tappe del nostro “road trip”, abbreviando il decalogo che potrebbe protrarsi per diverse pagine, sono state principalmente le città costiere di limassol, pafos e polis e i rispettivi siti archeologici e naturalistici.
Abbiamo trascorso un pomeriggio ammirando l’ineguagliabile bellezza della spiaggia dove si pensa nacque afrodite. Una distesa pietrosa dalla quale, se si ha pazienza, si ha la possibilità di ammirare uno splendido tramonto sul mare. Altra incredibile meta (la cui effervescenza naturalistica è ben evidenziata dalle foto) è la penisola di Akanza. Dopo aver affrontato venti minuti di off road estremo con la nostra semplice utilitaria e aver guadato un fiume pregando afrodite che il nostro trabiccolo sopravvivesse anche a tale prova, raggiungiamo l’ingresso (rigorosamente per deambulanti!) scosceso di questa cava, uno scorcio incantevole di natura selvaggia.

Due lembi di roccia calcarea rossiccia lentamente sembravano accavallarsi sopra le nostre teste man mano che proseguivamo, il fiume piuttosto freddo nella quale eravamo immersi a volte fino alle ginocchia scorreva placido e poco insistente, quel tanto che bastava a refrigerare le nostre terminazioni nervose.
Girando per Cipro ci si rende conto della motivazione per cui, il 90 percento della popolazione ha un pick up , o un fuori strada! Le strade periferiche sono davvero pessime, e se vuoi raggiungere le zone più belle dell’isola, o voli o affitti un 4X4.
L’invasione turca che ha diviso l’isola a metà, impone una tassa per le macchine affittate se si vuole attraversare la frontiera, per cui abbiamo deciso che la parte ospite la vedremo un'altra volta.
Tornando alla vita cipriota, ho iniziato a lavoricchiare con una associazione chiamata ESA, che tutela e organizza gli eventi erasmus , cosi oltre che entrare gratis in tutti i locali, evitando venti euro e rotti per notte mi pagano per fare le fotografie. La mia bambina (macchina fotografica) ed io abbiamo anche trovato un ottimo lavoretto come fotografo matrimoniale ma dobbiamo aspettare aprile per i primi scatti (ben retribuiti).
Sempre con L’ESA, è stata organizzata una gita erasmus al carnevale di limasool. Incredibile l’affluenza di gente da tutte le parti dell’isola, il corteo si protraeva per due kilometri e mezzo e al termine della giornata, stanco e con un sorriso smagliante in faccia un bel tuffo in mare per inaugurare le spiagge cipriote.. mi chiedo come mai si è verificata un’astensione generale dall’emularmi.

… di news ve ne sarebbero a bizzeffe, ma considerando che già temo di aver scritto molto più di quanto il tempo medio di ognuno di voi possa concedere al diletto, cerco di terminare velocemente.
La vita qui sembra sfuggire via dalle mani. Una giornata non dura ventiquattro ore, e un mese è trascorso senza che mi perdessi un attimo. Passeggiando tra i gatti ciprioti (incredibile quanti zampettano per le strade di nicosia!) e profumi orientali, trascorrendo il tempo studiando per gli esami e stringendo forti legami, come ogni bella esperienza, più la si cerca di trattenere maggiore è la velocità con la quale passa e altrettanto profondo è il segno che lascia.

CYPRUS! prima impressione



La bellezza di questo paese risalta immediatamente tra le sue contraddizione e la sua antica binomia.

La storia impone a Cipro un esistenza spartita, adesso tra turchi e greci, ma in passato come la Sicilia , venne invasa indiscriminatamente da popolazione dell’est, del nord,del sud e dell’ovest.

Questa caratteristica impregna vistosamente la cultura e le costruzioni che avvolgono chiunque passeggia per le strade delle città. L’invasione inglese ha lasciato un sentore vittoriano nella tipicità turca. La modernità alterna le sue brutture al classicismo orientale, alla povertà , alla ricchezza e ai buchi di proiettile nelle case del centro città.

Nel 2003 è stato reso possibile alla popolazione attraversare la linea verde (che divide la cipro greca dalla cipro turca) con solo un documento di identità, ma la moltitudine di caserme presenti intorno alla green line, i cartelli che vietano le fotografie ed intimidiscono l’avvicinamento, rendono il paesaggio anacronisticamente bellico.

Qui la libertà non è scontata. Chi ha più di quindici anni conosce bene la parola “invasione” e ha sperimentato sulla propria pelle cipriota l’odio e la cattiveria che può provocare l’incosciente irrazionalità della guerra.

Adesso la multi etnicità ha reso Cipro un luogo ammirabile e nonostante il trambusto e il disordine intrinseco della suo origine medioorientale, la tranquillità della gente è palpabile. Ci si imbatte spesso in giovani arzilli e devoti all’emulazione occidentale, con macchine sgargianti e rumorose, ma esenti da quell’inquietudine morbosa che rende l’occidentale timoroso , per cui per pericoloso.

Il tempo scorre a rallentatore in periferia, accelera in alcune vie del centro città , ricche di firme e mc donald, per acquietarsi nuovamente , come il placido ruscello che lambisce le mura della città.

L’università è un tipico college inglese, in cui è presente una sala cinematografica, una libreria, un book shop, un ristorante, una caffetteria, internet a iosa, sale di incisione e regia e cosi via con tutto ciò che si può pretendere da un università Europea.

sono rimasto stupefatto dalla presenza di ogni sorta di cultura, europea e non, tutti accomunati da sogni giovanili e da un sorriso smagliate tipico della nostra età. Ma una triste realtà emerge come una pustola dopo aver svelato le mie origini italiane. Tutti conoscono l’italia, e in particolare la pasta, “maccaroni” e Berlusconi, ma ancora più stupefacente che dalla Costa Rica alla Finlandia sono in grado di pronunciare una parola italiana: Mafia. Il binomio sicilia mafia è malinconicamente giunto in ogni parte del globo. Da i racconti di molti amici all’estero avevo dedotto qualcosa, ma credevo che esagerassero. No, è una triste realtà.

In conclusione, la prima impressione è stata una fragrante mescolanza di culture , in un luogo ricco di storia e fascino. Ed è solo il secondo giorno!

martedì 20 ottobre 2009

Iran Condanna a morte anche i minori...


Behnoud è stato impiccato domenica mattina a Teheran, nella prigione di Evin, per un omicidio che avrebbe commesso quella sera nel parco, del quale però si dichiarava innocente. Mandare a morte qualcuno per un crimine commesso da minorenne è una violazione della legge internazionale. Pur avendo ratificato la Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia, l’Iran punisce come adulti i bambini a partire dai 15 anni e le bambine dai 9.

“CORRIERE DELLA SERA”

Dopo la condanna a morte, a fine 2007 Behnoud è stato difeso dall’avvocato Mohammad Mostafaei, che gratuitamente aiuta i minorenni nel braccio della morte in Iran. Mostafaei fu anche il legale di Delara Darabi, una ragazza con la passione per la pittura, impiccata lo scorso 1° maggio per un omicidio commesso a 17 anni (si dichiarava anche lei innocente) nonostante una massiccia mobilitazione internazionale. Nel caso di Behnoud, Mostafaei puntava sulla legittima difesa e sull’autopsia che rivela più ferite sul corpo di Omid, forse da coltello. Sono aspetti mai investigati. «In Iran i giudici hanno tanto potere che non hanno bisogno di guardare ai dettagli del caso»

“CORRIERE DELLA SERA”



cosa mai potrà fare una bambina di nove anni per essere condannata a morte?incredibile...e pensare che governi di tale inferiorità d'anima possiedono (o vogliono possedere) armi di distruzione di massa.

il sentore della morte ogni giorno




Un respiro sordo, quasi un sibilo soffocato dal catarro si espande. Passi. Passi sempre più vicini, sempre più pesanti. Passi. Io , dal buio della mia cella non vedo altro che uno spiraglio geometrico varcare la soglia della finestra e concludersi in quella che dovrebbe essere la mia gavetta. All’udire di quei passi, marcati e decisi più del solito, i ratti impestanti rintanano nei loro loculi tra le pareti e il pavimento sudicio. Sono passati tre, quattro anni non ricordo e nulla è cambiato ,tranne la cadenza della marcia di quest’oggi. Non sembra il solito Muhad, altezzoso e taciturno uomo d’armi. A dirla tutta i passi sono plurimi. La cadenza discorda con il passo bipede di un essere umano. Devono essere almeno in due. Che sarà mai.

Il metallo della serratura cozza leggermente con la chiave e con un cigolio sinistro e tetro scatta il primo chiavistello. E il secondo. E il terzo. Infine i cardini poco lubrificati della porta emettono un urlo sordo.

La mia vista, da tempo abituata esclusivamente al fioco bagliore riflesso nella gavetta, viene violentata dalla luce intensa del corridoio nella quale la porta della mia cella si riversa. Le sagome di due soldati vengono verso me. Che sarà mai? Che giorno è oggi?silenzio. I soldati legano i miei polsi, come se potessi mai, ridotto allo stremo, reagire nei loro confronti. Un guizzo di luce sfiora il volto di uno. Sguardo di indifferente sarcasmo, quasi un abbozzo di ghigno. O mio dio che cazzo di giorno è oggi? Come un lampo improvviso si scaglia funeste e prorompente, nei miei pensieri è emersa una data. 13 ottobre. Ho mal di testa, incomincio a sudare. Ogni poro del mio corpo emette un sudicio liquido gelato, i denti mi battono e il rumore stridente delle mascelle che si serrano e si aprono con un ritmo frenetico riecheggia nelle pareti grigiastre del corridoio. Mi ero dimenticato di questa data. Ho vissuto mesi, anni, con il timore che arrivasse. Io , impotente e rassegnato sono costretto alla vita. all’attesa. Nessuna notte è più stata accompagnata dal riposo, nessun cibo mi ha più saziato. Quella data non ha altro sinonimo che morte.

Successe cinque anni fa, avevo quattordici anni. Era una calda serata iraniana, ave

vo lavorato tutto il giorno e ancora emanavo un olezzo tremendo misto di pecora e liquame. I ragazzi con cui sarei dovuto uscire quella sera attendevano il mio arrivo seduti nel bordo di una fontana di Teheran, nostro punto di ritrovo. Ragazzi semplici, allegri, pervasi dalla cultura arrogante tipica della mia generazione. Al mio arrivo li osservavo da lontano stuzzicare una coppietta di qualche anno più grande di noi. Mi avvicinai per prendere giogo al progressivo innervosirsi della quiete coppia. Il ragazzo

adirato si issò improvvisamente e scagliò un colpo di destro nel mento di un mio compagno, alla visione di questa scena scattai di corsa verso il gruppo, avevo intenzione di fermare quella imminente rissa. Le urla e le bestemmie fecero avvicinare come avvoltoi un nugolo di persone che accerchiarono come in un’arena i miei amici e il ragazzo offeso. Erano solo parole, insulti, malizie giovanili, perche reagire cosi? Mi faccio strada tra i curiosi, il ragazzo nettamente più forte prevaricava sugli altri due. In preda al panico scorsi una grossa pietra, mi fiondai a recuperarla e con un balzo felino mi gettai , con in mano quell’arma di dio, contro l’aggressore. Tutto terminò in un istante. Il debole cranio umano non riuscì a reggere il duro colpo granitico. Una miscela eterogenea di cervella e sangue mi ungeva. I miei piedi la pestavano. I miei amici terrorizzati mi osservavano. Io ero nel centro di quell’arena: Per gladio tenevo in mano una roccia.

Avevo vinto. Vinto la mia eterna sconfitta. Avevo quattordici anni, vivevo di impulsi, di lì a poco svenni per il terrore. A distanza di cinque anni, tra le braccia dei miei aguzzini, il terrore mi pervade, preda del vortice della paura svengo.

Apro gli occhi lentamente per impedire alla luce di oltrepassare la mia retina. E’ tutto bianco. Il candore evanescente svanisce, mettendone da parte la trascendenza e mostrandomi a poco a poco qualcosa che preferivo non vedere. Ancora una volta un nugolo di persone. Ancora una volta un’arena. Riesco a mettere a fuoco le immagini confuse stagliatemi violentemente dinanzi. Dopo anni riuscivo finalmente a vedere i colori, la luce, volti che non siano avanzi di galera. Un ingenuo levare allegro sembrò pervadermi. Chi è quella donna? Con terrore scorsi gli occhi di quella povera donna che mia mise al mondo. Ma chi sono costoro? Adesso che presto più attenzione con sorpresa mi accorgo della presenza di altri volti familiari. Tutti accomunati dalla stessa lugubre maschera di terrore. I sollazzi gioviali regalatemi dalle prime luci del sole svanirono all’unisono rendendomi conto di dove fossi. Lo svenimento mi aveva condotto ad uno stato transitorio di beatitudine. Inconsciamente il mio corpo ha reagito a un’emozione troppo forte, troppo esplicita, evadendo. Che male al collo, provo ad alzare le braccia ma niente da fare. Sono legato. I polsi sono cinti da un laccio di pelle, il collo da una grossa corda intrecciate. Il mio destino si professa, indifferente e catartico,ed io non posso far nulla per mutarlo. Non ho potuto fare nulla per anni. I miei aguzzini, malfattori governativi, mi strattonano, mi mettono in riga accanto ad altri due giovani. Il brusio popolare cessa. Io tremo. Sento freddo, le gambe mi cedono, osservo il tumulto acquietarsi. La donna che identifico come mia madre scoppia in un lamento agonico. Sono confuso. 5 anni ho atteso con precisione scandita da una sentenza

infernale questo giorno. Avevo quattordici anni. Ne ho diciannove. La nazione, il potere, necessitano di vittime da offrire agli occhi dei peccatori. La voce araba che capeggia il sottofondo cessa. Voglio fuggire. So che sto morendo. Soffrirò? Soffrirò? Me lo chiedo da anni. Anni in cui il mio unico motivo di esistere è stato quello di sperare che la mia vita fosse un incubo dal quale presto o tardi mi sarei svegliato. Anni che conosco la data in cui sarei morto.

Il marchingegno a caduta applicato in antichità è sostituito da una gru. Questa solleva il condannato penzolante per il collo che si scuote in preda al panico fino a quando le ossa cervicali non cedono o i polmoni non hanno più ossigeno. Spalanco gli occhi alla vista del ragazzo bendato e ammutolito con un panno ficcato con arroganza in gola. Tocca a me. Quest’uomo puzza di fracido. Mi benda, sento le sue mani sudate sfiorare il mio cranio rasato. Il mio tremolio diventa isterico, i pensieri si accavallano. Uccidetemi ora, basta attese, vi prego uccidetemi, ne ho abbastanza! Provo ad urlare, ma anche il basilare di diritto di esternare l’agonia mi è stato vietato. Un rumore meccanico squarcia l’aria. Terrore, terrore, un altro echeggio e poi… Alla mia età i ragazzi fanno l’amore, prospettano un futuro, non sanno quando diamine dovranno morire, io si: Adesso.

sabato 19 settembre 2009

“SONO UN PARASSITA CHE VIVE DI IDEOLOGIE e CHE NON SI VUOLE CONFRONTARE CON IL MERCATO”

“SONO UN PARASSITA CHE VIVE DI IDEOLOGIE e CHE NON SI VUOLE CONFRONTARE CON IL MERCATO”

(se il lettore non disponesse di tempo necessario per scorrere tutto l’artico potrebbe soffermarsi sull’ultimo punto e successivamente ,magari leggere il resto… sempre che voi non abbiate tempo)

Trattare di politica ai giorni nostri (o da sempre?) è sinonimo di appuntamento dall’epatologo a causa della bile che viene sovraprodotta. Destra, sinistra, su, giù, di lato e chi ne ha ne aggiunga, sono vettori uscenti da un unico centro, orientati verso direzioni opposte; Il centro… decidete voi a cosa paragonarlo.

All’intero della classe dirigente ancora qualcuno riesce a emergere la testa e cercare di non affondare, di non morire sotto la lusinga del denaro e del potere. tutto sta a capire chi siano costoro! Sono della convinzione che per non subire la politica la si debba fare. Nel piccolo, nel familiare, nel condominio, a scuola, scrivendo un articolo, in città. Fare politica, seriamente, senza secondi fini, significa prendere coscienza di voler intervenire direttamente, mettersi in gioco.

Dopo questo piccolo sfogo vorrei ammettere una cosa: SONO UN PARASSITA CHE VIVE DI IDEOLOGIE CHE NON SI VUOLE CONFRONTARE CON IL MERCATO. Questo ammonimento viene lanciato dal “ministro della pubblica amministrazione e innovazioni” Brunetta a noi artisti, che a suo parere “non lavoriamo per l’Italia, anzi non lavoriamo per nulla!”

Concentro il discorso per punti, affinché non mi dimentichi nulla di ciò che vorrei scrivere:

Italia e(è) Arte!

“Agli Italiani interessano le cose care!” -Brunetta

Il patrimonio artistico italiano è tra i più encomiati e poderosi nel mondo. L’Italia vive d’arte, è arte! Lo so lo so che Brunetta si è giustificato prendendo in considerazione una parte di artisti che a suo avviso fagocitano dalle casse dello stato, ma molti dei suoi ammonimenti sembravano espressamente diretti a tutta la fascia artistica nascente italiana e addirittura a quella passata!

Che non si debba sperperare denaro pubblico sono d’accordo. Basta scuole che non hanno iscritti, basta soldi in fumo a causa delle cattive amministrazioni accademiche( giusto cara Gelmini?) e quindi basta al cinema spazzatura(senza dubbio!) alla musica arrangiata dai “parassiti dei teatri lirici” (come fa brunetta, economista pragmatico, a discutere di arte spazzatura!) basta allora alle auto blu, agli stipendi esorbitanti dei parlamentari, alle agevolazioni, ai voli privati, alle cene ai ristoranti che noi, artisti, cittadini, precari offriamo ai nostri cari dirigenti.

L’arte, mio caro Brunetta è cultura, filosofia, cibo per la nostra anima trafitta giornalmente dal duro reale. È un modo analitico per esaminare la società. Ad ogni cambiamento sociale è susseguito un modo di interpretare e agire sull’arte. Ogni mutamento storico ha creato filoni musicali, artistici, letterali, cinematografici: pensiamo al rinascimento e a cosa abbia donato all’Italia, la rivoluzione tecnologica,purtroppo la guerra, la ricrescita economica. Tutte necessità espressive da riversare in un qualche supporto.

Hai mai parlato con un artista? Conosci il lavoro e la precarietà sulla quale stabilisce radici? Un pianista studia dieci anni, continua ad esercitarsi tutti i giorni, sei ore al dì, tutto perché è un parassita che vuole donarci la libertà di volare qualche volta al di sopra dei nostri problemi, donarci un attimo di spensieratezza.

Noi mio caro Brunetta, lavoriamo semplicemente in maniera diversa. Produciamo emozioni, certo non quantificabili o investibili in borsa, ma penso che nessuno abbia il coraggio di dire odio la musica , i film, la pittura…

Noi regaliamo un pizzico di libertà a chi dopo una giornata di lavoro si concede alle lusinghe di un film, o si lascia trasportare dalle note di un artista.

Noi denunciamo la realtà, per questo ti stiamo scomodi! Denunciamo la realtà così come il nostro ceto povero la potrebbe descrivere.

Brunetta e (è) spettacolo

“chiudiamo il rubinetto del fus (fondo unico dello spettacolo)!” -Brunetta

Lo spettacolo non è cultura…certo! Prendi uno show come mai dire grande fratello e tutti noi poveri ignoranti asseriamo alla tua informazione. Ma generalizzare è un peccato profuso largamente nella testa degli stolti. e poi proprio il ministro brunetta ci parla di spettacolo quando, ogni sua “predica” è uno show. Mi chiedo come mai non abbia fatto il provino a Zelig considerando le ristate di gusto che è riuscito ad animare in conferenza a quei quattro sgangherati ignoranti alle parole “i parassiti dei teatri lirici!”

Vi consiglio di entrare nel suo blog e diventare fan… Woody Allen in quanto a sarcasmo è un dilettante a contro!

Ultimo punto: SONO UN PARASSITA CHE VIVE DI IDEOLOGIE CHE NON SI VUOLE CONFRONTARE CON IL MERCATO

Dinanzi a queste parole pesanti, violente e altrettanto ignoranti mi trovo interdetto. Il primo pensiero mi induce a riflettere sul mio futuro. Forse ha ragione, forse mi devo confrontare con il mercato, limitare la fotografia , il mio grande amore, alle escursioni il sabato e la domenica. Forse devo abrogare le mie ideologie, i miei sogni, per darmi da fare. Per smettere di dare il massimo in quello che faccio e in cui probabilmente fallirò e trovarmi qualcosa di sicuro. Un posticino fisso: alle 18.00 a casa, famiglia, allietarmi con un po’ di musica di qualche artista, leggere un libro, vedere un film di qualche cineasta, osservare delle foto di un’inchiesta giornalistica e pensare che quelle fotografie, quell’arte applicata alla realtà potevano essere mie!

Se chi vive di ideologie è un parassita, sono contento di esserlo. Meglio parassita che corrotto. Meglio parassita che tumore in metastasi dell’Italia. (ogni riferimento a persone e fatti è casuale! Sigh!).

Continuerò ad alimentare la mia anima con l’arte. (adesso stesso sto scrivendo con l’album “no concept” di Giovanni Allevi che suona nel mio lettore cd.)E continuerò ( o meglio ci proverò) ad imboccare l’arte a chi mi sta intorno, a provare a fare giornalismo con fotografia, a cercare di denunciare con sincerità, di emozionare con sentimento, di distrarre con timida apprensione.

-tutto il materiale informativo è reperibile in internet e nelle interviste di brunetta,e nel suo stesso blog, niente preso da blog di fazione o fonti sconosciute.-

domenica 30 agosto 2009

Ma unne cazzu capitai!!!!mafiia derivati tutti dei pezzi di merda



Che bella la mia terra, ne sono

innamorato.


La Sicilia è un archetipo di bellezza: morbida come la neve sull'Etna, colorata come l'azzurro tendente al rossiccio del tramonto sul mare, irta come le scogliere a picco che incutono timore, caliente come solo sa chi vive qui. Ma la Sicilia è una terra malata, psicopatica.
Ti fa innamorare, ti illude, ti ammalia con la sua irrefrenabile bellezza, e poi ti accoltella alle spalle.
Un tumore in debellabile, un maligno fagocita di ogni risorsa, tacito e allo stesso tempo irrequieto nell'intimità della mia terra. la chemioterapia non è sufficiente, si estende da decine di anni, si insinua nella popolazione, la tramortisce, la assuefa, la fa fuggire.
Mafia, triste termine logorato da un utilizzo improprio, triste realtà di una Sicilia logorata da un applicazione di questo maledetto termine. Inutile discutere dei metodi poco gentili con cui la mafia padroneggia, li conosciamo.
Mi soffermerei invece su alcuni atteggiamenti diffusi nelle nostre provincie tra la gente comune affetta da metastasi di quel grande tumore, derivate dalla cultura di supremazia e sottomissione tipica della malavita:
-la legge del più forte e del branco è più usuale qui che tra i leoni del Sahara.
-uno sguardo potrebbe essere un ottimo motivo per fare a botte.
-la puerilità è l'ignoranza sono i canoni fondamentali a cui nessuno di questa gentaglia può sottrarsi.
-se hai ragione e hai qualcuno alle spalle allora hai ragione, se hai ragione ma sei solo un povero studente o un lavoratore onesto… hai torto.
-la polizia è un palliativo addirittura rischioso. il linciaggio postumo l'arresto potrebbe essere fatale!


A ciò si aggiunge la frustrazione di non poter esercitare un minimo di giustizia senza ricorrere ad "altra" gente, marcisce il fegato a chi vorrebbe, ma non può, ucciderli tutti.

ma sono solo sciocchezzuole normali!

Perche qui è normale rischiare grosso per uno sguardo, per una parola, per un piccolo incidente, qui è normale valere meno di niente se non hai qualche stronzo con anni di galera nel curriculum che dice "chissu è ma fighiozzo!"(trad: lui è mio figlioccio , ovvero ha la mia protezione).



ESEMPIO:


Ero in macchina, 35 km/h, un cretino poco di buono ha la bellissima idea di osservare la mia macchina da mooolto vicino non fermandosi ad uno stop.
Purtroppo non muore(capirete il “purtroppo”, abbiate pazienza), andavo troppo piano. Scendo dal veicolo e mi dirigo verso il malcapitato che, senza casco e con una vespa scassata, non era finito neanche a terra.

<< ..
.OOO come stai, ti sei fatto male?>> esclamo con timore che si fosse rotto qualcosa.
la risposta non è stata proprio un esibizione di galanteria, 2 schiaffi solitari cercano il mio volto (fortunatamente senza esito) accompagnando la danza delle mani con una sfilza di insulti e invettive contro di me, la mia testa, i miei testicoli, la mia famiglia, tutti rigorosamente in correttissimo siciliano.
tra un"T'AMMMMAZZO!" e un"TIU SCIPPU L'OCCHI!" cerco di fargli capire(che parola grossa !) che il problema era suo, e che lui ha avuto la geniale idea di entrarmi non cordialmente nella fiancata. ma nulla, è colpa mia solo perche esisto.
L'individuo di un ignoranza pari ad un merluzzo galeno, mi incitava a seguirlo(uuuu chissà perche!) e a pagargli la vespa, al che ho detto "FACCIAMO IL CID O L'ASSICURAZIONE, E CHI HA TORTO HA TORTO!" ... apriti cielo!!! l'assicurazione!? qui? da noi? tra sta gente??? e che sarà mai???? una specialità della casa??? ebbene:

-senza casco,
-non si ferma allo stop,
-mi viene addosso,
-prova a picchiarmi,
-altera il mio sistema nervoso,
-non rispondo a nessuna delle sue provocazioni da essere inferiore,
-non ha assicurazione
-non mi pagherà mai la macchina
-non chiamo la polizia per svista e per pena
-e per finire....ho torto e mi merito di rischiare sane e genuine legnate.

le cose funzionano cosi... e di giustizia neanche a parlarne.
Scopro che quel maledetto ha messo individui loschi di mezzo (ma perche se non ho fatto nulla!!!) e scopro che a sua volta mio zio ha messo altri individui più loschi nel mezzo del mezzo per evitare le pocanzi citate sane e genuine legnate!

I
ncredibile, per ricorrere alla giustizia in questo posto meraviglioso, si deve far ricorso a metodi e persone che con la giustizia centrano come il pomodoro nella granita di limone.
mi fanno schifo, ho conati di vomito pensando che un mio figlio potrà crescere in mezzo a questo lerciume. questa gente con i para occhi crede solo nel rispetto e nell'onore...nobili virtù del mafioso.
Che schifo se penso alle odierne ingiustizie promosse da questi detentori della legge.

Quel’ignorante, spacciatore, che nulla mai farà nella vita, avrei voluto denunciarlo.
Se non fosse intervenuto mio zio all'improvviso e senza alcuna richiesta, sarei andato dalla polizia..

ma poi che se ne fa di una settimana di galera uno come lui?

Giorni di ferie!

e io che me ne faccio del terrore di uscire di casa dopo una

settimana?